Ben ritrovati cari amici di Gessetti. In questo numero di novembre troverete:
in appello qualche spunto per una didattica all’aperto non tecnologica;
nell’ora di laboratorio una proposta di utilizzo dell’intelligenza artificiale in classe;
all'ora di dettato, leggerete di IN-TEL-LI-GEN-ZA;
ed infine le consuete Frasi alla lavagna.
Vi auguriamo una buona lettura e un buon ascolto per gli amici del podcast!
Didattica all’aperto. Possibile? A Didacta si dice di sì!
Stand, workshop e seminari, ognuno con la loro specifica proposta, strizzavano l’occhio verso l’inclusione, la laboratorialità e l’innovazione didattica.
Tra tutte le proposte della tre giorni siciliana, mi ha particolarmente incuriosito il workshop “L’ambiente fa scuola - Progettare negli spazi all’aperto per il primo ciclo di istruzione” tenuto da due ricercatrici INDIRE, Stefania Chipa e Giuseppina Rita Jose Maggiore. Vittoria Volterrani, docente dell’Istituto Omnicomprensivo di Bobbio (PC), ha poi portato l’esempio virtuoso della sua scuola.
La ricerca condotta da INDIRE all'interno del Movimento nazionale delle Piccole scuole ha evidenziato numerosi vantaggi dell'apprendimento all'aperto. Ecco alcuni dei principali aspetti positivi che emergono da questa ricerca:
Miglioramento delle relazioni sociali. L'apprendimento all'aperto offre un ambiente meno formale rispetto alla classe tradizionale, consentendo agli studenti di interagire in modo più informale tra loro. Questo favorisce lo sviluppo di relazioni sociali più positive e la costruzione di legami più stretti tra gli studenti.
Maggiore motivazione e coinvolgimento. L'ambiente all'aperto è spesso più stimolante e coinvolgente per gli studenti. Questo può aumentare la loro motivazione nell'apprendimento e il loro coinvolgimento nelle attività didattiche.
Miglioramenti nella memoria a lungo termine. Gli studenti che partecipano a lezioni all'aperto tendono a ricordare le informazioni apprese in modo più efficace e a conservarle nella memoria a lungo termine. Questo potrebbe essere dovuto all'esperienza multisensoriale che l'ambiente esterno offre.
Benefici per gli studenti con disabilità. I risultati positivi dell'apprendimento all'aperto si estendono anche agli studenti con disabilità emotive, cognitive e comportamentali. Questo approccio può offrire un ambiente più inclusivo e adattabile alle diverse esigenze degli studenti.
Sviluppo di un'attitudine ecologica e di una coscienza ambientale. L'apprendimento all'aperto favorisce la connessione con la natura e promuove una maggiore consapevolezza ambientale. Gli studenti imparano a rispettare e a prendersi cura dell'ambiente naturale che li circonda.
Cittadinanza attiva e responsabile. L'esperienza di apprendimento all'aperto può contribuire a formare cittadini più consapevoli e responsabili. Gli studenti acquisiscono una maggiore comprensione delle questioni ambientali e sociali e sviluppano una visione più ampia del loro ruolo nella società.
Nel workshop si sottolineava come l'educazione all'aperto non dovrebbe essere considerata come una ricompensa occasionale, ma piuttosto come una componente integrante dell'esperienza educativa. Come mai dunque spesso rimane una pratica saltuaria?
Resistenza al cambiamento. La zona di comfort rappresenta una barriera naturale per l'adozione di nuove metodologie educative. Tuttavia, è importante incoraggiare una mentalità aperta tra gli insegnanti e dimostrare loro i benefici dell'apprendimento all'aperto per superare questa resistenza.
Supporto e formazione dei docenti. Gli educatori dovrebbero ricevere la formazione e il supporto necessari per condurre lezioni all'aperto in modo efficace. Questo aiuterà ad aumentare la loro competenza nell'uso di nuove modalità didattiche.
Coinvolgimento delle famiglie. Coinvolgere le famiglie è essenziale. Le scuole dovrebbero comunicare in modo chiaro le motivazioni e gli obiettivi dell'apprendimento all'aperto e coinvolgere i genitori nel processo educativo. Il coinvolgimento delle famiglie può contribuire a superare la loro resistenza e a creare un ambiente di sostegno per questa metodologia.
Se volete approfondire questi temi vi consiglio di leggere i Quaderni delle piccole scuole che trovate gratuitamente a questo link.
Riccardo Cabrini - @cabriniprofdimate
Usare l’intelligenza artificiale in classe e a scuola in modo intelligente
Qual è la reazione degli insegnanti quando sentono parlare dell'arrivo dell'intelligenza artificiale nell'ambito dell'istruzione? Io ho attraversato tre fasi: qualche mese fa reagivo con indifferenza, pensando: “non mi tocca, ancora troppo lontana dalle aule scolastiche”. Poi ho iniziato a mostrare un’espressione preoccupata, quella di chi ne sa ancora poco per potersi esprimere, ma è in allerta per un pericolo imminente. E ora? Per potervi dire come reagisco oggi, dovrei raccontare la mia esperienza.
L'IA, in particolare attraverso strumenti come ChatGPT, offre tantissime possibilità nella sfera dell’istruzione. Innanzitutto può agevolarci nello svolgimento di attività burocratiche, come la creazione di programmazioni e verbali, permettendoci di risparmiare tempo prezioso. Inoltre, può aiutarci a rendere la didattica più inclusiva, ad esempio per creare testi ed esercizi adatti agli studenti con background migratorio o con bisogni educativi speciali (BES).
Sperimentando, mi sono resa conto dell'incredibile potenziale di ChatGPT e ho abbracciato con entusiasmo questa tecnologia, perché mi ha aiutato a strutturare le mie lezioni in modo più efficiente, dando un senso logico alle mie elaborazioni creative. Se solo avessi avuto accesso a questa risorsa due anni fa, avrei concluso molto prima un progetto di educazione civica basato sull’invenzione di un racconto fantasy di gruppo su una scuola di magia, la “Magic Green School”, legata alla sostenibilità e al rispetto dell’ambiente. L’IA in questo caso mi avrebbe aiutato a unire tanti brevi testi dei miei studenti: descrizione degli spazi della scuola, dei personaggi, narrazione della lotta contro l’inquinamento.
Vedo l'IA come il nuovo "internet" del nostro tempo e penso che dovremmo sfruttarla e insegnare a usarla, proprio come è stato fatto con la rivoluzione di Internet negli anni passati.
Il mondo si evolve a una velocità incredibile e prima o poi (più prima che poi) tutti i nostri studenti la incontreranno, perciò penso sia nostro compito educare all’uso etico, responsabile e corretto del digitale, soprattutto se così tecnologicamente avanzato, ad esempio evitando di usarla per barare.
Dovremmo anche insegnare ai nostri studenti a osservare i limiti e gli errori (le cosiddette “allucinazioni” di ChatGPT), metterli in guardia, per evitare la disinformazione.
Dovremmo usarla in classe per stimolare il problem solving, incoraggiando gli studenti a porre domande sempre più dettagliate per creare dei prompt (istruzioni) adatti a raggiungere risultati specifici. Ciò può essere d’aiuto per sviluppare le competenze dei nostri studenti, come il pensiero critico e creativo. Ad esempio, dopo aver sfogliato e analizzato in gruppo l’albo illustrato di Shaun Tan Le regole dell’estate ho chiesto di pensare ognuno alla propria regola dell’estate per poterla rappresentare. Abbiamo usato l'IA di Canva tramite l’app “contenuti magici” per creare un’immagine a partire da un testo descrittivo, basato a sua volta sul disegno precedentemente realizzato.
Ancora, possiamo farla sfruttare positivamente per far capire come riassumere un testo e sviluppare abilità di sintesi, magari come “controprova” per verificare l’efficacia del proprio lavoro, o anche come supporto allo studio, nella creazione di mappe e schemi.
Non dobbiamo temere l’intelligenza artificiale, ma abbracciarla (con cautela) e sperimentare perché può diventare una risorsa rivoluzionaria per l'educazione, proprio come Internet ha fatto in passato.
Valentina Demuru - @una_prof_col_trolley
IN-TEL-LI-GEN-ZA: una parola in evoluzione
Di intelligenze, al plurale, si parla da tanti anni, ma mentre un tempo ci si riferiva alle diverse peculiarità dei cervelli umani o agli stili di apprendimento, oggi abbiamo una nuova intelligenza che si affianca alla nostra: all’intelligenza umana si è aggiunta quella artificiale. Se le due intelligenze siano alleate o nemiche è materia di dibattito: in ogni campo del sapere o dell’agire c’è chi teme il graduale tramonto di un’umanità pensante.
Anche a scuola la questione – o la voragine - è aperta: in aula insegnanti mi è capitato di incontrare la collega di lingue, carica di libri e plichi di compiti in classe, entusiasta per l’ultima verifica di inglese inventata con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. “Una comodità e un’efficienza impensabili!”, le ho sentito dire con il sorriso e lo sguardo sognante, quasi esaltato. Ma ho anche incrociato in corridoio il collega di fisica, con la fronte aggrottata, che scuoteva il capo affermando l’inutilità di assegnare compiti a casa, oramai, in quest’epoca in cui i ragazzini non hanno più soltanto Google, ma persino Chat Gpt.
È stata proprio questa considerazione sull’inutilità dei compiti ad accendere in me una scintilla. Ho seguito lo scoppiettare dei pensieri e sono arrivata a un’idea che forse potrà sembrare assurda, ma mi convince sempre di più: l’intelligenza artificiale, rendendo inutili certe nostre azioni, potrebbe aiutarci a diventare migliori. Ma soprattutto, più felici. A patto che non soccombiamo, e credo che l’unico modo per non farsi schiacciare dalle “macchine intelligenti” sia diventare più intelligenti di loro, in senso etimologico.
Sono due, le etimologie proposte per il termine intelligenza, ma il succo non cambia. Che si tratti di “leggere dentro, raccogliere dentro” (intus legere) oppure di “cogliere legami tra elementi” (inter legere), penso dovremmo puntare sull’unico primato che nessun cervello bionico potrà mai sottrarci: se non siamo più i migliori nella conoscenza, nel ragionamento e nella risoluzione di problemi, dovremmo preoccuparci di godere di quello che facciamo. Non chiederci se sia utile e nemmeno quanto ci venga bene, ma solo quanto ci rende felici.
Ovviamente sto estremizzando, ma pensiamoci: per anni abbiamo considerato la scuola il luogo della trasmissione del sapere, finché non ci siamo accorti che conoscere tutto alla perfezione non serve più, avendo a disposizione banche dati sconfinate che memorizzano al posto nostro. Abbiamo puntato, allora, sul “saper fare” e “saper essere”, muovendoci tra abilità e competenze. Oggi ci tocca prenderne atto: persino fare calcoli, fare progetti, fare disegni o fare letteratura non serve più, considerando il verbo servire nel senso più utilitaristico e capitalista possibile. Ormai, c’è chi sa “fare” al posto nostro. Possiamo intristirci e appassire, oppure svegliarci e godere.
La scuola che si confronta con l’intelligenza artificiale non può più, a mio parere, raccontare ai bambini e ai ragazzi che studiare “serve”. Non dico che si tratterebbe di una bugia, ma di un’affermazione estremamente riduttiva. La vecchia raccomandazione “Stai attento e studia perché poi, altrimenti, non saprai svolgere gli esercizi” o “non troverai lavoro” ha ancora significato, quando gli esercizi e il lavoro possono essere svolti da un software? Credo che la scuola debba urgentemente cambiare obiettivo: smettere di puntare all’utile e diventare il tempio del desiderio, della bellezza, della conoscenza di sé e dell’evoluzione. Credo sia ora di dire ai bambini e ai ragazzi che devono studiare perché studiare è indicibilmente bello. Perché ci sono misteri che, una volta scoperti o anche solo intravisti, generano un godimento così ricco da amplificarci i sensi e potenziarci i neuroni. Perché quello stesso risultato può essere raggiunto da un computer, ma a perderci la pelle d’oca, i giramenti di testa e il batticuore saremmo noi.
Tutte le volte che ci applichiamo per ottenere in cambio un voto, un titolo, uno stipendio o un prodotto non siamo veramente intelligenti in senso etimologico, non stiamo davvero guardando dentro le cose: stiamo guardando al di là di esse, alla ricerca di un riconoscimento o di uno striscione con scritto “traguardo”. Stare dentro le cose, abitarle con confidenza, esplorarne gli anfratti nascosti, assaporarle, modellarle e amarle è ciò che ci resta da fare, ora che il resto lo fa Chat Gpt. Siamo molto fortunati, a dire il vero, perché a restarci non è materiale di scarto: è l’oro che ci rende umani davvero.
Un umano che compone versi, che scrive, che calcola e che disegna per la gioia di farlo è un umano, io credo, molto evoluto. Non so se siamo pronti a diventarlo, ma l’intelligenza artificiale ci dice questo: l’utilitarismo, presto, non sarà più affar nostro, perché a quello ci penserà lei. Sta a noi trovarci un sogno nuovo, adesso.
Eleonora Orsi - @nora_orsi
È il caso di chiederselo…Chi li vuole ancora, degli insegnanti?
Se davvero vogliamo risollevarci il morale con il detto “tutto il mondo è paese”, potremmo leggere la prefazione del libro.
Una serie di riforme e promesse non mantenute…
Una professione screditata da decenni e via via finanziariamente declassata…
La penuria strutturale di professionisti…
L’avvenire della democrazia in pericolo…
Quando la scuola si è trasformata in tecnocrazia?
Quando si è piegata alla logica dei servizi?
Che poi, a ben rifletterci, l’efficacia di un servizio si misura dal livello di soddisfazione espresso dagli utenti, mentre l’efficacia di un’istituzione è data dalla sua capacità di incarnare dei valori. Forse la bontà del sistema giudiziario si basa sulla soddisfazione dei giudicati…?
E allora, nell’ottica del servizio, ecco che abbiamo visto apparire il concetto di concorrenza. Quindi i sistemi di valutazione sistematici, i PISA, i TIMMS e PIRLS… Con gli esperti dell’OCDE che collezionano campioni significativi e misurano le performances degli adolescenti. Eppure, contrariamente a quanto immaginano in molti, l’OCDE non è un’organizzazione non-profit che si batte per l’accesso di tutti e tutte all’istruzione, non è una ONG militante né un’istituzione internazionale volta a difendere l’infanzia e a promuovere la cultura (come l’Unicef o l’Unesco). L’OCDE è un consorzio, creato nel 1948 da alcuni dei Paesi più avanzati, allo scopo di gestire l’applicazione del Piano Marshall. Tanto che essa non fa mistero alcuno, ancor oggi, di voler difendere la liberalizzazione in ambito economico - grazie alla concorrenza - allo scopo di favorire l’innovazione e l’aumento di produttività. Non è forse vero che il programma PISA è nato con lo scopo di attivare la concorrenza tra i sistemi educativi, comparando l’efficacia di ognuno di essi rispetto a standard comuni?
Quando bussiamo ad una porta che non vuole aprirsi, con in mano le nostre belle carte piene di appunti, dovremmo ricordarci anche di tutto questo.
E dovremmo perciò tornare alla nostra scrivania, delusi ma non frustrati, a trasformare quegli appunti nella nostra lezione dell’indomani.
Questa, penso che sia la rivoluzione che la scuola si merita.
Simona Butò - @epea.pteroenta
Abbiamo pensato al nome Gessetti perché ci è sembrato l'oggetto più adatto a rappresentare i molteplici colori che compongono la realtà della scuola. La scuola che ci piace è infatti variopinta come la vita. Anzi, a scuola c'è vita: ci sono soffitti di domande, risate e anche sogni. Ci sono pareti tappezzate di confronto, incontri e, a volte, delusioni. Ci sono lavagne di cose nuove da imparare e di abitudini da reinventare.
Ci accomuna l'amore per la scuola come luogo di scoperta e di apprendimento, di crescita e di civiltà per tutti.
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Sempre preziosi spunti in Gessetti. Questa puntata sull'intelligenza artificiale apre gli orizzonti, o meglio li ridefinisce.